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La mazzancolla di  Gianni Neto

Il nome scientifico è, come spesso accade, impronunciabile: Penaeus kerathurus.
Penaeus kerathurus Pochi di noi, se non "addetti ai lavori", sanno di cosa si tratta, diversamente, se la chiamiamo con il nome comune, mazzancolla, tutti abbiamo ben chiaro cosa sia. Crostaceo molto comune, oggetto di pesca intensiva e di allevamento, la mazzancolla si trova nei mercati ittici in ogni periodo dell'anno. E' necessaria, però, una precisazione: quella che generalmente troviamo sul bancone del pescivendolo, ha poco a che fare con la mazzancolla mediterranea, ma si tratta di una specie molto simile di origine asiatica (Penaeus japonicus), che è stata introdotta negli anni settanta a scopo di allevamento a fini commerciali.
Penaeus kerathurus è una specie autoctona del Mediterraneo, dove frequenta i fondali sabbiosi e fangosi a profondità variabili dai venti ai cento metri.
Come molte altre specie animali viventi in questa tipologia di ambienti, è di abitudini notturne, di giorno vive sepolta nei fondi costieri, in acque salmastre e in zone prossime alle foci dei fiumi con fondale detritico. Si nutre di piccoli organismi e svolge anche l'importante funzione di "spazzino" cibandosi di animali in decomposizione.
L'aspetto è quello tipico dei gamberi: corpo rivestito da una corazza che costituisce l'esoscheletro, occhi peduncolati e una coppia di lunghe antenne. Il corpo risulta compresso lateralmente, il cefalotorace è ricoperto dal carapace dal quale partono tredici paia d'appendici. Il capo è ornato da una vistosa e robusta cresta seghettata che culmina con un rostro appuntito.
La parte inferiore del corpo è protetta da placche addominali molto resistenti, la coda ampia a forma di ventaglio. Il colore varia dal marrone chiaro al giallo o grigio, l'estremità della coda è azzurro chiaro.

Penaeus kerathurus
Ancora una volta la notte ci offre l'opportunità di osservare da vicino un abitante marino nel suo ambiente naturale, occorre prestare molta attenzione per individuare il soggetto, poichè, se non abbiamo la fortuna di trovarlo a spasso per il fondale, risulta molto difficile scorgere gli occhi che fuoriescono dalla sabbia.
E anche quando è allo scoperto, attenzione a non distrarsi, le tecniche di fuga che mette in atto sono di tre tipi: la veloce corsa sul fondo, il tipico nuoto a scatti all'indietro usato dai gamberi, e l'infossamento veloce. Il periodo migliore per fotografare i soggetti più grandi (circa 25 cm), è l'estate, quando si avvicinano alla costa per la riproduzione.

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